mercoledì 15 dicembre 2010

Scenari che arriveranno?


Ieri alla Camera è stata respinta per 3 voti la mozione di sfiducia presentata da Fini, Casini e altri parlamentari d'opposizione, sembrava la fine del caimano ma non lo è stata. Almeno per ora.
Ma andiamo con ordine.
Il lento ed inesorabile percorso che porta Fini e il suo gruppo all'opposizione parte da lontano.
Riassumendolo in breve: Minoranza interna al PDL, gruppo autonomo in parlamento, ritiro dei delegati e appoggio esterno al governo, mozione di sfiducia e passaggio all'opposizione.
Non sto qui a ricordare i perché e i per come di questi passaggi, chi segue la politica li sa, chi non li sa dovrebbe iniziare a seguirla visto che nonostante quello che si dica, incide e fortemente sulla vita di ognuno di noi. Dopo la giornata di ieri, due scenari politici si aprono davanti a tutti i cittadini italiani: l'allargamento della maggioranza da parte di B. (mettendo in atto a tutti gli effetti un governo di minoranza, in quanto non aprirebbe ad uno o più gruppi parlamentari, ma a veri e propri peones della camera il suo governo) e le elezioni a marzo. Va subito detto che per l'Italia nessuno dei due scenari è esaltante (se non proprio deprimenti) entrambi, ma questo è.
Prendiamo in analisi il primo scenario: Allargamento della maggioranza
B. con la sua "forza di persuasione" riesce a raggruppare una decina di peones alla camera portando la sua maggioranza intorno ai 320, 4 o 5 in più della soglia minima. Partendo dal presupposto che questo governo non ha fatto nessuna riforma o legge degna di questo nome in 2 anni e mezzo con 70 parlamentari di vantaggio, si dovrebbe già capire che non farebbe altro che galleggiare tanto da far rimanere impunito B. più tempo possibile. Intanto ogni minima legge dovrà passare per le forche caudine della camera rendendo di fatto l'iter parlamentare bloccato. Magari anche sulle famose leggi delega per il federalismo tanto caro a Bossi. Ovviamente la Lega non potrà stare a questo gioco e forzerà la mano perché si vada alle elezioni, in modo da cavalcare il mancato federalismo e rafforzare ancora di più il suo peso in parlamento. Va anche detto, a scanso di equivoci, che il federalismo è una chimera. Un ponte sullo stretto elettorale, da buttare in pasto al nord solamente per fini propagandistici, non verrà mai realizzato, ma serve alla lega come motore per la campagna elettorale. Si diceva, si va alle elezioni e quindi ci si ricollega al secondo scenario.
Elezioni anticipate a marzo.
Come nei migliori gialli il colpevole va individuato tra chi trae maggior vantaggio. In questo caso la Lega come detto sopra ma, soprattutto, sarebbe la partita fondamentale per Berlusconi.
Tutti sappiamo o dovremmo sapere che Napolitano terminerà il suo mandato nel 2013, quindi il suo successore verrà eletto dal prossimo parlamento che uscirà dalle elezioni, che si tengano a marzo 2011 o alla naturale scadenza di questa legislatura, nel 2013 appunto. Berlusconi quindi, per salire al Quirinale (il suo ultimo obiettivo) deve andare alle elezioni quando è più forte e con questa legge elettorale (il porcellum), che gli permetterebbe di farsi eleggere anche con la sua sola maggioranza. La scadenza naturale della legislatura è troppo rischiosa: governare altri 2 anni e mezzo tra bufere finanziarie sempre più forti, i pochi numeri della maggioranza e soprattutto la sua infinita incapacità di governare, lo porterebbero a fine legislatura stremato con un consenso davvero basso che forse nemmeno tutti i suoi mezzi d'informazione riuscirebbero a rialzare. Per questo, che che ne dica ora B., sta tutto nel suo interesse andare alle elezioni a marzo.
Prendendo per buoni i sondaggi (a me fanno senso, ma almeno possiamo basarci su dei dati) l'alleanza PDL+Lega è, seppur di poco, avanti a tutte le altre coalizioni, per puro esercizio algebrico andrebbe sotto solo se tutti si schierassero nella medesima coalizione (da FLI a SEL), ma è solo un volo pindarico, perché una tale carovana perderebbe "appeal" elettorale e porterebbe molto probabilmente dentro le urne ad una vittoria del centro destra guidato da Berlusconi & Bossi. Quindi PDL + Lega avrebbero la maggioranza alla camera e, con molta probabilità Berlusconi, conscio che questa sarebbe la sua battaglia finale, metterebbe in gioco tutte le sue armi mediatiche per portare la sua testa incatramata al Colle più alto, anche al Senato.
Alla fine di marzo ci ritroveremmo con un parlamento formato da 370 deputati divisi fra Lega (diciamo un centinaio) e 270 veri yesmen del cesare di Arcore. Con una minoranza che dovrà dividersi i rimanenti 260 seggi tra P.D., IDV, SEL, FLI, UDC, API. Non c'è che dire, un gran bel parlamento. In pratica governerebbe la Lega permettendo tutte le porcate a Berlusconi fino al trionfo come capo dello Stato. Non male, no?

mercoledì 29 settembre 2010

Alla faccia di Tosi e del buongoverno legaiolo


Un miliardo di deficit
La sanità veneta
è modello Calabria
Denuncia del Pd: «Zaia faccia chiarezza sui conti della Regione»
La voragine nelle casse fa volare gli stracci nella maggioranza
La Lega attacca Galan: è concreto il rischio commissariamento

Di Toni Jop

Mille milioni di debito

sanitario. Si dice anche
“un miliardo” e
non in calabrese, in
veneto. Nel Veneto,
orgoglioso pupillo del buon governo
leghista dove gli amministratori del
Carroccio operano da molti anni assieme
a quelli del Pdl, ecco una voragine
di bilancio che fa paura. Dicono
che quattro aziende sanitarie stanno
facendo saltare il banco, dicono che
Verona da sola porta con se un buco
di duecentocinquanta milioni, dicono
e nessuno smentisce le dimensioni
del crack. È duro da digerire per
gente come Zaia – il presidente del
Veneto, tanto amato da Bossi - o come
Gobbo – il rude sindaco di Treviso,
leader della Lega in regione – un
quadretto simile. Fino a ieri, hanno
sparato ad alzo zero contro i bilanci
fardellati delle asl e delle regioni del
Sud. E non c’è nulla di sbagliato nel
pretendere che la legge sia uguale
per tutti, che gli amministratori del
sud siano chiamati a rispondere allo
stessomodo di quelli del nord dei loro
bilanci e delle loro economie. Altro
affare è stato, come ha scelto di
fare la Lega, usare questo argomento
per marcare superbe distanze rispetto
all’andazzo quasi “di sangue”
delle cose sotto la linea del Po.
Li abbiamo sentiti urlare contro il
sud spendaccione e mafioso, a Ponte
di Legno come a Venezia. Rivolti
all’odiato Sud, accesi da un tripudio
di bandiere anti-italiane, incitavano
dai palchi: se ne vadano, se non sanno
governare, paghino di tasca loro,
noi non ci stiamo più. Bene: ora chi
riporterà alla Lega ciò che le appartiene,
e cioè il senso di responsabilità?
Intanto l’opposizione (che pure
nel Veneto esiste) e il Pd, che comunque
è il maggior partito di opposizione,
ieri hanno messo su una conferenza
stampa per denunciare il fatto
e chiedere chiarezza sui conti regionali
avvolti dalla nebbia.
«Amministrano la sanità ininterrottamente
da anni – una infilata di
assessori leghisti - e ora ci costringono
ad assistere a questo avvilente
balletto di cifre. A maggio, Zaia ha
annunciato alla stampa che chiudeva
il bilancio con undici milioni di
attivo. Ora a quanto pare, si tratta di
affrontare un miliardo di deficit:
chiariscano subito, ma di uno come
Zaia come possiamo fidarci?»: questo
è Claudio Sinigaglia, vicepresidente
della commissione sanità del
Veneto, e fa una certa impressione
che nemmeno uno così addentro
sappia esattamente come stanno
quei conti. La Lega governa al buio
di una cantina? «Lo stesso Zaia – ricorda
Sinigaglia – ha annunciato
che vuol portare la luce nel buio di
questa situazione; una bella faccia
tosta, i suoi compagni di partito amministrano
la sanità della regione da
anni». Zaia porta la luce, sarà un
angelo?«Non ci sono capri espiatori
– ha detto Laura Puppato, sindaco
di Montebelluna e presidente
del gruppo regionale Pd – la responsabilità
di quanto sta avvenendo
è della politica, è stata la politica
a mettere ormai per sei anni la
responsabilità del settore nelle mani
di assessori leghisti veronesi. Il
risultato èunVeneto modello Calabria
». Zaia, tra luce e buio, promette
che in tempi brevissimi darà all’opinione
pubblica le conclusioni
di un libro bianco della sanità regionale.
Magnifico,un libro bianco
su quel che hannodisfatto i suoi uomini
e i suoi alleati in questa costosa
materia.Unaspecie di confessione
di famiglia. Galan, l'ex governatore
Pdl del Veneto, si tira fuori dalla
mischia e riporta il suo successore
con i piedi per terra: «O Zaia ha
il coraggio di prendersi in prima
persona gli oneri o sarà destinato a
subire l’onta del commissariamento
». Però. Il sindaco di Verona, Tosi,
altro leghista, attacca proprio
Galan, lo accusa di essere il responsabile
del dissesto che ha colpito le
aziende sanitarie dal momento
che ha soppresso l’Irpef per bassezza
elettorale. Galan risponde:
«macché, ho fatto quello che il bilancio
ci permetteva, ho tolto progressivamente
le tasse, ma si tratta
di 120, 140 milioni l’anno, non miliardi.
Quando c’ero io – conclude
l’attuale ministro alle politiche
agricole – la sanità era la punta di
diamante della Regione, adesso pare
che tutto crolli».
Bella storia: ne uscirà che la colpa
è dell’opposizione e della sinistra?
Sempre il luminoso Zaia ricorda
chenon è il bilancio della Regione
a soffrire,maquello delle aziende
che saranno chiamate a rispondere
con un piano di rientro, fermo
ma senza rancore. E ti credo, son
figli suoi, al massimo nipoti. Ma i
soldi sono i soldi: o la regione interviene
e saranno fuochi d'artificio,
oppure tutta la “eccellente “ sanità
veneta sarà costretta a cambiare
non solo la pelle. E ce n’è tantissima
di privata che arricchisce un
bel po' di elettori. Chi toglierà la trave
dall'occhio della Lega? 

Alla fine tutti con le pezze al culo


Sarà l’Europa tedesca a imporci il rigore nei conti

OGGI A BRUXELLES IL VERTICE DECISIVO TRA MINISTRI ECONOMICI ALL’OMBRA DELLA DOPPIA CRISI DI IRLANDA E PORTOGALLO

LEGGE 231
MANAGER SEMPRE
PIÙ INTOCCABILI

di S u p e r b o nu s

D a mesi si scontrano due filosofie politiche ed
economiche, quella del rigore e quella del “tiriamo
a campare le cose si aggiusteranno da sole”.
Inutile ricordare a quale delle due si sia iscritto il
governo Berlusconi. Quando si tenta di tradurre in
regole comuni europee una delle due filosofie, lo
scontro diventa inevitabile.
Tanto da scuotere dalle fondamenta
la casa comune europea.
La Germania ha messo
nero su bianco, prima del
vertice di lunedì sera a Bruxelles
tra i ministri economici
che continua oggi, una lettera
nella quale richiama a misure
maggiori di austerità tutta Eurolandia
per evitare una “ellenizzazione”
del vecchio
continente. La Francia è rimasta
l’ultimo muro fra il governo
tedesco e le misure draconiane
da imporre a tutti i
Paesi membri. Il presidente Nicolas Sarkozy non
vuole varare una nuova Finanziaria lacrime e sangue
in prossimità delle elezioni presidenziali del
2012. E questo sembra un motivo sufficiente per
rompere l’asse franco-tedesco e iscrivere il governo
transalpino al partito del “tiriamo a campare”.
Ma i mercati internazionali hanno già decretato la
morte finanziaria di Irlanda e Portogallo, vendendo
massicciamente i titoli di Stato di
questi Paesi e portando i differenziali
di rendimento delle obbligazioni a
più lunga scadenza (spread) molto
al di sopra di quelle tedesche. In pratica,
se la Germania paga il 2,30 per
cento per finanziare il proprio debito
a 10 anni, l’Irlanda paga da oggi il
6,80 per cento. L’Irlanda, come il
Portogallo, probabilmente dovrà
chiedere aiuto al fondo di garanzia
europeo che dovrebbe garantire liquidità
agli Stati in difficoltà e rassicurare
gli altri. Dove troverà i soldi
questo fondo? È semplice: in nuovo
debito, cioè con emissioni obbligazionarie
garantite dagli Stati europei che non hanno
chiesto l’intervento del fondo. Man mano che altre
nazioni chiederanno aiuto, si ridurrà il numero dei
garanti, aumentando però contestualmente il debito
complessivo. Non è una barzelletta ma il regolamento
dell'EFS, il fondo costituito dai governi
europei all’indomani dell’esplosione della crisi greca,
secondo un meccanismo ispirato dal nostro direttore
generale del Tesoro Vittorio Grilli.
La Germania, l’Inghilterra e l’Olanda sono uscite dal
coro delle cicale e continuano a ricordare ai propri
partner il rischio di un debito eccessivo e di deficit al
di sopra della soglia del 3 per cento. Una delle
ipotesi sul tavolo è la richiesta ai Paesi più indebitati
di ridurre il debito di un ventesimo all'anno, con
meccanismi di blocco della spesa pubblica. I governi
virtuosi pagheranno un prezzo politico ed elettorale
enorme ma lasceranno ai loro successori Paesi capaci
di camminare sulle proprie gambe, con una
minore esposizione alle tempeste finanziarie e ai
rischi dell’economia globalizzata. La frattura fra le
due filosofie questa volta appare difficilmente sanabile:
l’accelerazione della crisi di Irlanda e Portogallo
pone l'Unione europea di fronte a una scelta
obbligata: rigore o rinvio. Nella strada del rigore non
c’è spazio per Paesi che continuano ad aumentare il
proprio indebitamento per vivere al di sopra delle
proprie possibilità, con un’enorme evasione fiscale e
continuano a incentivarla attraverso scudi e condoni.
Paesi come l'Italia, insomma. Lo scontro che si
è materializzato sul Patto di stabilità è uno scontro
per la sopravvivenza di uno stile di governo che è
antistorico rispetto alla situazione dei mercati finanziari
e dell’economia reale. L’avviso che proviene
dalla presidentessa di Confindustria Emma Marcegaglia
- “Stiamo perdendo la pazienza” - e gli
attacchi del suo predecessore Luca Cordero di Montezemolo
al governo non sono sfoghi estemporanei,
ma indice della consapevolezza diffusa nel mondo
imprenditoriale che i nuovi scenari in Europa e sui
mercati internazionali rischiano di mettere l’Italia in
un angolo e di farne la prossima vittima delle banche
internazionali.
I costanti richiami all’esempio tedesco da parte del
governatore della Banca d'Italia Mario Draghi e
degli imprenditori sembrano sempre più la richiesta
di cambiare rotta e cambiare filosofia di governo.
E quindi, inevitabilmente, cambiare leadership.

giovedì 12 agosto 2010

Politica d'agosto




Politica d'agosto


Analizzando quello che politicamente sta succedendo in questo periodo in Italia, vengono alla luce diversi scenari. Proviamo ad elencarli e vedere quello che esce fuori.

Scenario n. 1: governo di transizione.

La camera riapre a settembre. B., come ha già detto, mette in agenda 4 punti blindati che fanno parte del famoso "programma" per cui sono stati eletti (ci sarebbe da discutere una vita su questo, vorrei davvero sapere quanti dei 17 milioni che hanno votato PDL e Lega hanno veramente letto e sottoscritto QUEL programma, ma tant'è). In questi 4 punti infila anche un casus belli, tipo il processo breve indigeribile per i figiani che fanno mancare la maggioranza. Cade il governo e si da il via alle consultazioni del capo dello stato. Voci di corridoio danno per certo il nome che B. proporrà al Capo dello stato: Gianni Letta. Il gran visir molto inviso alla Lega è indagato almeno in un procedimento e (si vocifera) di dossier su di lui B. ne ha un vagone. Rifiuta anche di provare a metter su un governo, quindi niente Letta. Tocca a Pisanu, vecchio democristiano che ha già palesato il suo intento di rimanere in parlamento qualunque cosa succeda. Alla Camera i numeri ci sono, al senato no. In questo caso, o si coinvolge anche la Lega emarginando i berluscones, oppure Pisanu riesce a spaccare ulteriormente il PDL portando con lui altri senatori e rimpinguando così la maggioranza che eventualmente lo sosterrebbe, altrimenti Napolitano non gli darà mai il mandato, perché nessuno vorrebbe una maggioranza che non è uscita vincitrice dalle elezioni. Diciamo che Pisanu si porta 7-8 senatori, bastano per approvare legge elettorale condivisa e una buona legge sul conflitto d'interessi? Non bastano. Quindi, alle urne.
Oppure: la Lega abbandona B., entra nel governo (probabilmente mantenendo gli interni e rifacendosi dare l'agricoltura, facendo fuori l'odiato Galan) e ci sono i numeri per far tutto, anche se la convivenza di Bossi con Casini e soprattutto Fini sarebbe un problema. Ma Bossi non è nuovo a voltafaccia ("Berlukaz" non l'ha inventato Di Pietro). Conclusione di questo primo scenario: Berlusconi con le valigie latitante in un Paese senza estradizione e governo di vecchi arnesi della politica, che faranno galleggiare il Paese in un modo poco più accettabile di quello che viviamo ora.
P.S. Ovviamente Tremonti rimarrebbe in sella passando con la Lega.

Scenario n. 2: Dimissioni di Fini da Presidente della Camera

Come già detto, la Camera riapre a settembre in concomitanza dell'arrivo delle rogatorie da Montecarlo. Come si vocifera nelle società off shore che hanno acquistato la "famosa" casa, c'è un nome vicino al Presidente della Camera che verrà costretto per forza di cose alle dimissioni.
Il sogno di B. sarebbe sciogliere una sola Camera (la Costituzione lo consente) e rinnovarne una sola del Parlamento, mettendo alla porta tutti quelli leggermente più "liberi" e candidando una serie infinita di yes men. Napolitano difficilmente accetterebbe una forzatura simile (cosa fra l'altro mai accaduta in oltre 60 anni di Repubblica). Quindi alle urne per rinnovare tutto il parlamento, da una parte PDL + Lega, dall'altra una sorta di CNL con dentro tutti quelli che ci stanno, basando il tutto su un programma articolato in 2 punti: Legge elettorale e legge sul conflitto d'interessi. In questo caso possiamo anche azzardare un'ipotesi su come potrebbero andare le elezioni, ma lo faremo in seguito. Per ora rimaniamo su questi due scenari.

venerdì 18 giugno 2010

VIVA JOSE' SARAMAGO






di José Saramago

http://caderno.josesaramago.org/2009/06/08/a-coisa-berlusconi/

Questo articolo, con questo stesso titolo, è stato pubblicato ieri sul quotidiano spagnolo “El País”, che me lo aveva espressamente commissionato. Considerando che in questo blog ho lasciato alcuni commenti sulle prodezze del primo ministro italiano, sarebbe strano non mettere anche qui questo testo. In futuro ce ne saranno sicuramente altri, visto che Berlusconi non rinuncerà a quello che è e a quello che fa. Né lo farò anch’io.

La Cosa Berlusconi

Non trovo altro nome con cui chiamarlo. Una cosa pericolosamente simile a un essere umano, una cosa che dà feste, organizza orge e comanda in un paese chiamato Italia. Questa cosa, questa malattia, questo virus minaccia di essere la causa della morte morale del paese di Verdi se un profondo rigurgito non dovesse strapparlo dalla coscienza degli italiani prima che il veleno finisca per corrodergli le vene distruggendo il cuore di una delle più ricche culture europee. I valori fondanti dell’umana convivenza vengono calpestati ogni giorno dalle viscide zampe della cosa Berlusconi che, tra i suoi vari talenti, possiede anche la funambolica abilità di abusare delle parole, stravolgendone l’intenzione e il significato, come nel caso del Polo della Libertà, nome del partito attraverso cui ha raggiunto il potere. L’ho chiamato delinquente e di questo non mi pento. Per ragioni di carattere semantico e sociale che altri potranno spiegare meglio di me, il termine delinquente in Italia possiede una carica più negativa che in qualsiasi altra lingua parlata in Europa. È stato per rendere in modo chiaro ed efficace quello che penso della cosa Berlusconi che ho utilizzato il termine nell’accezione che la lingua di Dante gli ha attribuito nel corso del tempo, nonostante mi sembri molto improbabile che Dante l’abbia mai utilizzato. Delinquenza, nel mio portoghese, significa, in accordo con i dizionari e la pratica quotidiana della comunicazione, “atto di commettere delitti, disobbedire alle leggi o a dettami morali”. La definizione calza senza fare una piega alla cosa Belusconi, a tal punto che sembra essere più la sua seconda pelle che qualcosa che si indossa per l’occasione. È da tanti anni che la cosa Belusconi commette crimini di variabile ma sempre dimostrata gravità. Al di là di questo, non solo ha disobbedito alle leggi ma, peggio ancora, se ne è costruite altre su misura per salvaguardare i suoi interessi pubblici e privati, di politico, imprenditore e accompagnatore di minorenni, per quanto riguarda i dettami morali invece, non vale neanche la pena parlarne, tutti sanno in Italia e nel mondo che la cosa Belusconi è oramai da molto tempo caduto nella più assoluta abiezione. Questo è il primo ministro italiano, questa è la cosa che il popolo italiano ha eletto due volte affinché gli potesse servire da modello, questo è il cammino verso la rovina a cui stanno trascinando i valori di libertà e dignità di cui erano pregne la musica di Verdi e le gesta di Garibaldi, coloro che fecero dell’Italia del secolo XIX, durante la lotta per l’unità, una guida spirituale per l’Europa e gli europei. È questo che la cosa Berlusconi vuole buttare nel sacco dell’immondizia della Storia. Gli italiani glielo permetteranno?

giovedì 17 giugno 2010

LETTERA DAL CARCERE






IO, FIGLIO DI BR, PAGO PER MIO PADRE E UN LIBRO di Manolo Morlacchi


Il 18 gennaio 2010 sono stato arrestato insieme al mio amico Costantino Virgilio. Ci accusano di far parte, cito dall'ordinanza: " (...) in un'associazione terroristica-eversiva costituita in una banda armata denominata 'per il comunismo Brigate Rosse', con vocazione marxista-leninista, proiettata a coagulare in sé tutti i comunisti combattenti impegnati sul terreno della lotta armata a livello di area europea mediterranea meridionale". Non mi sono mai preso troppo sul serio se, senza nemmeno accorgermene, stavo sovvertendo lo scacchiere geopolitico dell'Europa mediterranea. Non ci viene contestato alcun fatto specifico: rapine, attentati, possesso di armi o altro materiale illegale (...) Ciò che mi preme denunciare è lo scandalo della carcerazione preventiva che stiamo subendo, senza che ci sia stato addebitato alcun fatto concreto. (...)

Sette mesi prima del nostro arresto io e Costantino siamo stati prelevati dal nostro posto di lavoro da agenti della Digos e portati in questura. Perquisite le nostre case, le nostre auto, i nostri averi. Rilasciati a notte fonda, torniamo a casa con un avviso di garanzia e la qualifica di indagati, dopo che il giorno stesso erano stati eseguiti altri cinque arresti. Ci sono voluti altri sette mesi prima di ricevere una nuova visita della Digos, questa volta venuta ad arrestarci. Sull'ordinanza di arresto non ho trovato una sola nuova evidenza o riscontro che aggiornasse l'avviso di garanzia del giugno 2009. Ma se le accuse a nostro carico restavano le stesse, non altrettanto poteva dirsi delle nostre vite. La visita della Digos sul posto di lavoro portò al nostro rapido licenziamento. Ci trovammo così indagati, disoccupati e con dei bimbi piccoli da mantenere. Da settembre 2009 la ricerca di un nuovo impiego si fece affannosa, quotidiana, difficile. Verso dicembre ricevemmo le prime risposte positive, i primi colloqui e la prospettiva concreta di un nuovo lavoro. Il 18 gennaio spazza via tutto.

Il mio nome è troppo ghiotto; la notizia dell'arresto ottiene grande clamore mediatico, Manolo Morlacchi, figlio di Pietro, già militante Br negli anni '70, non può che avere la sovversione nel DNA. Anche il mio libro, che fino ad allora aveva avuto ben poco spazio sui media, gode in quei giorni di nuova e insperata pubblicità. "La fuga in avanti" rappresenta una delle ragioni per cui io mi trovo in galera. Nelle sue pagine racconto la storia della mia numerosa famiglia. Un storia che, muovendo dall'avvento del fascismo, racconta la progressiva presa di coscienza di dieci fratelli, la loro adesione alla Resistenza, alle lotte operaie degli anni '50 e '60, alle battaglie condotte nel PCI e, infine, l'adesione di alcuni di loro all'esperienza delle prime Brigate Rosse. Un libro irresponsabile, come ha scritto qualcuno in una delle rarissime recensioni. Un libro che non prende le distanze. Un libro che rivendica le vicende umane e politiche di una famiglia e dei miei genitori. Che "La fuga in avanti" mi avrebbe causato problemi l'avevo messo in conto; non al punto, però, da farmi finire in un'inchiesta sul terrorismo. E' stato un mio errore di valutazione, ma non avrei potuto fare diversamente:  quel libro andava scritto, e io ne sono orgoglioso. (...) Oggi il Riesame deciderà sulla nostra scarcerazione. Ci apprestiamo ad affrontare la tappa con due intenti: difendere la nostra identità di comunisti e tornare alla libertà con la stessa dignità di quando l'abbiamo perduta.

lunedì 14 giugno 2010

Dalla parte dei lavoratori






La crisi economica creata dalla finanza globale si sta "finalmente" espandendo sull'economia reale. Nel Paese della pizza e del mandolino, ma anche dei sindacati tra i più combattivi del mondo, si sta rimediando come al solito: facendo pagare i "buffi" a chi non c'entra niente con questa crisi.
Andiamo con ordine.
La crisi, come tutti i migliori analisti economici dicono da tempo, non è ciclica, ovvero un momento di bassa o bassissima crescita (e in alcuni casi di recessione), ma è una crisi di sistema. Sono già tornato altre volte sulla differenza enorme che c'è tra le due cose, ma è meglio ribadirla ancora una volta.
La crisi di sistema mette in discussione il modo di vivere fino ad ora imposto a tutti gli altri dalle classi dominanti. Parlo di modo di vivere imposto perché così realmente è. Non decidiamo veramente noi come vivere la nostra vita, ma siamo indotti da "messaggi" più o meno velati sul come viverla. Il modo di produrre e quale tipo di merci, è deciso dalle grandi multinazionali ed esse decidono per noi cosa ci occorre e in che quantità, rendendoci schiavi del salario per il solo obiettivo di poter accedere a quei beni.
Sono anni che sostengo di stare ben attenti a chiedere lavoro. Il padrone è ben lieto di dare il lavoro, ma alle sue condizioni e questo va ricordato e scritto a lettere di fuoco.
L'operaio deve smetterla di chiedere lavoro e iniziare a chiedere diritti. Il sistema produttivo capitalista non fa altro, da 300 anni ormai, che sfruttare la manodopera per creare profitto e accumulare capitale a scapito di chi realmente lavora. L'analisi lucida e insuperata che Marx fece nel Capitale ne è il miglior esempio.
Questa lunga premessa ci porta all'argomento di cui volevo parlare oggi: il ricatto in atto dalla FIAT con il suo "super manager" col golfino, agli operai e ai loro rappresentanti sindacali più accaniti, la FIOM CGIL.
Perché ricatto.
Le dichiarazioni rilasciate ieri da Marchionne "La FIOM gioca con 5 mila posti" non è nient'altro che un ricatto, ovvero, "o fate come diciamo noi o licenziamo tutti, anche quelli che hanno accettato il contratto", un modo abbastanza infame di cercare di isolare chi ancora (poco e male) cerca davvero di difendere gli operai. Non è la prima volta che viene usato questo modo (appunto, infame), specialmente da quando l'unità confederata è sempre più debole e soprattutto l'unione dei lavoratori è sempre più lontana, nonostante siano passati 162 anni da quel febbraio del 1848 in cui Marx e Engels gridarono "Proletari di tutti i Paesi unitevi".
Il che è alquanto strano, visto che ormai tutti i lavoratori, che siano essi metalmeccanici, tessitori, operai edili o garzoni di bottega, commesse di atelier, baristi, cassiere o operatori di call center, dovrebbero aver capito che quello che passa per prima nelle grandi aziende ricade a cascata su tutti gli altri. E' successo con gli operatori dell'Alitalia e se passa succederà man mano a tutti gli altri.
Mettere per iscritto su un contratto nazionale che chi sciopera (è uno dei punti più contestati) può anche essere licenziato, oppure che il lavoratore debba rinunciare alla sua pausa (in nome del dio produttività) non è solo aberrante eticamente (ci stia Marchionne 8 ore consecutive senza staccare mai gli occhi su una macchina che fa sempre lo stesso movimento e poi mi dica se ha bisogno di una pausa), ma rappresenta anche un passo indietro di oltre cento anni sulle conquiste fatte dai lavoratori (con battaglie asprissime e numerosi vite sacrificate), che una volta perse potranno (?) essere riconquistate solo con le medesime, essendo ben consci che la repressione da parte della polizia ora è molto più potente di quella dei primi del '900. Conviene stare zitti? Io penso di no e forse è davvero ora di fare qualcosa.

lunedì 10 maggio 2010

Dove andremo a finire?


500, 600, 700, 750 miliardi e le borse s'impennano.
Emettere nuovo debito per lucrare oggi quello che verrà pagato domani, il grande capitalismo dalle pezze al culo scarica ancora i debiti sulle nuove generazioni. Il capitalismo è ormai senile per dirla alla Amin ma le conseguenze della sua caduta ogni giorno aumentano.
Il problema non è italiano o europeo, è mondiale ma a nessuno frega una mazza.

La rivoluzione o sarà globale o non sarà. La mia speranza è riposta tutta ai popoli dell'Asia, dell'Africa e dell'America Latina.

Centro (Europa, Nord America e Giappone), contro periferia (Asia, Africa e America Latina). John Titor scrisse che vinceranno le periferie, me lo auguro vivamente.