mercoledì 29 settembre 2010

Alla faccia di Tosi e del buongoverno legaiolo


Un miliardo di deficit
La sanità veneta
è modello Calabria
Denuncia del Pd: «Zaia faccia chiarezza sui conti della Regione»
La voragine nelle casse fa volare gli stracci nella maggioranza
La Lega attacca Galan: è concreto il rischio commissariamento

Di Toni Jop

Mille milioni di debito

sanitario. Si dice anche
“un miliardo” e
non in calabrese, in
veneto. Nel Veneto,
orgoglioso pupillo del buon governo
leghista dove gli amministratori del
Carroccio operano da molti anni assieme
a quelli del Pdl, ecco una voragine
di bilancio che fa paura. Dicono
che quattro aziende sanitarie stanno
facendo saltare il banco, dicono che
Verona da sola porta con se un buco
di duecentocinquanta milioni, dicono
e nessuno smentisce le dimensioni
del crack. È duro da digerire per
gente come Zaia – il presidente del
Veneto, tanto amato da Bossi - o come
Gobbo – il rude sindaco di Treviso,
leader della Lega in regione – un
quadretto simile. Fino a ieri, hanno
sparato ad alzo zero contro i bilanci
fardellati delle asl e delle regioni del
Sud. E non c’è nulla di sbagliato nel
pretendere che la legge sia uguale
per tutti, che gli amministratori del
sud siano chiamati a rispondere allo
stessomodo di quelli del nord dei loro
bilanci e delle loro economie. Altro
affare è stato, come ha scelto di
fare la Lega, usare questo argomento
per marcare superbe distanze rispetto
all’andazzo quasi “di sangue”
delle cose sotto la linea del Po.
Li abbiamo sentiti urlare contro il
sud spendaccione e mafioso, a Ponte
di Legno come a Venezia. Rivolti
all’odiato Sud, accesi da un tripudio
di bandiere anti-italiane, incitavano
dai palchi: se ne vadano, se non sanno
governare, paghino di tasca loro,
noi non ci stiamo più. Bene: ora chi
riporterà alla Lega ciò che le appartiene,
e cioè il senso di responsabilità?
Intanto l’opposizione (che pure
nel Veneto esiste) e il Pd, che comunque
è il maggior partito di opposizione,
ieri hanno messo su una conferenza
stampa per denunciare il fatto
e chiedere chiarezza sui conti regionali
avvolti dalla nebbia.
«Amministrano la sanità ininterrottamente
da anni – una infilata di
assessori leghisti - e ora ci costringono
ad assistere a questo avvilente
balletto di cifre. A maggio, Zaia ha
annunciato alla stampa che chiudeva
il bilancio con undici milioni di
attivo. Ora a quanto pare, si tratta di
affrontare un miliardo di deficit:
chiariscano subito, ma di uno come
Zaia come possiamo fidarci?»: questo
è Claudio Sinigaglia, vicepresidente
della commissione sanità del
Veneto, e fa una certa impressione
che nemmeno uno così addentro
sappia esattamente come stanno
quei conti. La Lega governa al buio
di una cantina? «Lo stesso Zaia – ricorda
Sinigaglia – ha annunciato
che vuol portare la luce nel buio di
questa situazione; una bella faccia
tosta, i suoi compagni di partito amministrano
la sanità della regione da
anni». Zaia porta la luce, sarà un
angelo?«Non ci sono capri espiatori
– ha detto Laura Puppato, sindaco
di Montebelluna e presidente
del gruppo regionale Pd – la responsabilità
di quanto sta avvenendo
è della politica, è stata la politica
a mettere ormai per sei anni la
responsabilità del settore nelle mani
di assessori leghisti veronesi. Il
risultato èunVeneto modello Calabria
». Zaia, tra luce e buio, promette
che in tempi brevissimi darà all’opinione
pubblica le conclusioni
di un libro bianco della sanità regionale.
Magnifico,un libro bianco
su quel che hannodisfatto i suoi uomini
e i suoi alleati in questa costosa
materia.Unaspecie di confessione
di famiglia. Galan, l'ex governatore
Pdl del Veneto, si tira fuori dalla
mischia e riporta il suo successore
con i piedi per terra: «O Zaia ha
il coraggio di prendersi in prima
persona gli oneri o sarà destinato a
subire l’onta del commissariamento
». Però. Il sindaco di Verona, Tosi,
altro leghista, attacca proprio
Galan, lo accusa di essere il responsabile
del dissesto che ha colpito le
aziende sanitarie dal momento
che ha soppresso l’Irpef per bassezza
elettorale. Galan risponde:
«macché, ho fatto quello che il bilancio
ci permetteva, ho tolto progressivamente
le tasse, ma si tratta
di 120, 140 milioni l’anno, non miliardi.
Quando c’ero io – conclude
l’attuale ministro alle politiche
agricole – la sanità era la punta di
diamante della Regione, adesso pare
che tutto crolli».
Bella storia: ne uscirà che la colpa
è dell’opposizione e della sinistra?
Sempre il luminoso Zaia ricorda
chenon è il bilancio della Regione
a soffrire,maquello delle aziende
che saranno chiamate a rispondere
con un piano di rientro, fermo
ma senza rancore. E ti credo, son
figli suoi, al massimo nipoti. Ma i
soldi sono i soldi: o la regione interviene
e saranno fuochi d'artificio,
oppure tutta la “eccellente “ sanità
veneta sarà costretta a cambiare
non solo la pelle. E ce n’è tantissima
di privata che arricchisce un
bel po' di elettori. Chi toglierà la trave
dall'occhio della Lega? 

Alla fine tutti con le pezze al culo


Sarà l’Europa tedesca a imporci il rigore nei conti

OGGI A BRUXELLES IL VERTICE DECISIVO TRA MINISTRI ECONOMICI ALL’OMBRA DELLA DOPPIA CRISI DI IRLANDA E PORTOGALLO

LEGGE 231
MANAGER SEMPRE
PIÙ INTOCCABILI

di S u p e r b o nu s

D a mesi si scontrano due filosofie politiche ed
economiche, quella del rigore e quella del “tiriamo
a campare le cose si aggiusteranno da sole”.
Inutile ricordare a quale delle due si sia iscritto il
governo Berlusconi. Quando si tenta di tradurre in
regole comuni europee una delle due filosofie, lo
scontro diventa inevitabile.
Tanto da scuotere dalle fondamenta
la casa comune europea.
La Germania ha messo
nero su bianco, prima del
vertice di lunedì sera a Bruxelles
tra i ministri economici
che continua oggi, una lettera
nella quale richiama a misure
maggiori di austerità tutta Eurolandia
per evitare una “ellenizzazione”
del vecchio
continente. La Francia è rimasta
l’ultimo muro fra il governo
tedesco e le misure draconiane
da imporre a tutti i
Paesi membri. Il presidente Nicolas Sarkozy non
vuole varare una nuova Finanziaria lacrime e sangue
in prossimità delle elezioni presidenziali del
2012. E questo sembra un motivo sufficiente per
rompere l’asse franco-tedesco e iscrivere il governo
transalpino al partito del “tiriamo a campare”.
Ma i mercati internazionali hanno già decretato la
morte finanziaria di Irlanda e Portogallo, vendendo
massicciamente i titoli di Stato di
questi Paesi e portando i differenziali
di rendimento delle obbligazioni a
più lunga scadenza (spread) molto
al di sopra di quelle tedesche. In pratica,
se la Germania paga il 2,30 per
cento per finanziare il proprio debito
a 10 anni, l’Irlanda paga da oggi il
6,80 per cento. L’Irlanda, come il
Portogallo, probabilmente dovrà
chiedere aiuto al fondo di garanzia
europeo che dovrebbe garantire liquidità
agli Stati in difficoltà e rassicurare
gli altri. Dove troverà i soldi
questo fondo? È semplice: in nuovo
debito, cioè con emissioni obbligazionarie
garantite dagli Stati europei che non hanno
chiesto l’intervento del fondo. Man mano che altre
nazioni chiederanno aiuto, si ridurrà il numero dei
garanti, aumentando però contestualmente il debito
complessivo. Non è una barzelletta ma il regolamento
dell'EFS, il fondo costituito dai governi
europei all’indomani dell’esplosione della crisi greca,
secondo un meccanismo ispirato dal nostro direttore
generale del Tesoro Vittorio Grilli.
La Germania, l’Inghilterra e l’Olanda sono uscite dal
coro delle cicale e continuano a ricordare ai propri
partner il rischio di un debito eccessivo e di deficit al
di sopra della soglia del 3 per cento. Una delle
ipotesi sul tavolo è la richiesta ai Paesi più indebitati
di ridurre il debito di un ventesimo all'anno, con
meccanismi di blocco della spesa pubblica. I governi
virtuosi pagheranno un prezzo politico ed elettorale
enorme ma lasceranno ai loro successori Paesi capaci
di camminare sulle proprie gambe, con una
minore esposizione alle tempeste finanziarie e ai
rischi dell’economia globalizzata. La frattura fra le
due filosofie questa volta appare difficilmente sanabile:
l’accelerazione della crisi di Irlanda e Portogallo
pone l'Unione europea di fronte a una scelta
obbligata: rigore o rinvio. Nella strada del rigore non
c’è spazio per Paesi che continuano ad aumentare il
proprio indebitamento per vivere al di sopra delle
proprie possibilità, con un’enorme evasione fiscale e
continuano a incentivarla attraverso scudi e condoni.
Paesi come l'Italia, insomma. Lo scontro che si
è materializzato sul Patto di stabilità è uno scontro
per la sopravvivenza di uno stile di governo che è
antistorico rispetto alla situazione dei mercati finanziari
e dell’economia reale. L’avviso che proviene
dalla presidentessa di Confindustria Emma Marcegaglia
- “Stiamo perdendo la pazienza” - e gli
attacchi del suo predecessore Luca Cordero di Montezemolo
al governo non sono sfoghi estemporanei,
ma indice della consapevolezza diffusa nel mondo
imprenditoriale che i nuovi scenari in Europa e sui
mercati internazionali rischiano di mettere l’Italia in
un angolo e di farne la prossima vittima delle banche
internazionali.
I costanti richiami all’esempio tedesco da parte del
governatore della Banca d'Italia Mario Draghi e
degli imprenditori sembrano sempre più la richiesta
di cambiare rotta e cambiare filosofia di governo.
E quindi, inevitabilmente, cambiare leadership.