lunedì 14 giugno 2010

Dalla parte dei lavoratori






La crisi economica creata dalla finanza globale si sta "finalmente" espandendo sull'economia reale. Nel Paese della pizza e del mandolino, ma anche dei sindacati tra i più combattivi del mondo, si sta rimediando come al solito: facendo pagare i "buffi" a chi non c'entra niente con questa crisi.
Andiamo con ordine.
La crisi, come tutti i migliori analisti economici dicono da tempo, non è ciclica, ovvero un momento di bassa o bassissima crescita (e in alcuni casi di recessione), ma è una crisi di sistema. Sono già tornato altre volte sulla differenza enorme che c'è tra le due cose, ma è meglio ribadirla ancora una volta.
La crisi di sistema mette in discussione il modo di vivere fino ad ora imposto a tutti gli altri dalle classi dominanti. Parlo di modo di vivere imposto perché così realmente è. Non decidiamo veramente noi come vivere la nostra vita, ma siamo indotti da "messaggi" più o meno velati sul come viverla. Il modo di produrre e quale tipo di merci, è deciso dalle grandi multinazionali ed esse decidono per noi cosa ci occorre e in che quantità, rendendoci schiavi del salario per il solo obiettivo di poter accedere a quei beni.
Sono anni che sostengo di stare ben attenti a chiedere lavoro. Il padrone è ben lieto di dare il lavoro, ma alle sue condizioni e questo va ricordato e scritto a lettere di fuoco.
L'operaio deve smetterla di chiedere lavoro e iniziare a chiedere diritti. Il sistema produttivo capitalista non fa altro, da 300 anni ormai, che sfruttare la manodopera per creare profitto e accumulare capitale a scapito di chi realmente lavora. L'analisi lucida e insuperata che Marx fece nel Capitale ne è il miglior esempio.
Questa lunga premessa ci porta all'argomento di cui volevo parlare oggi: il ricatto in atto dalla FIAT con il suo "super manager" col golfino, agli operai e ai loro rappresentanti sindacali più accaniti, la FIOM CGIL.
Perché ricatto.
Le dichiarazioni rilasciate ieri da Marchionne "La FIOM gioca con 5 mila posti" non è nient'altro che un ricatto, ovvero, "o fate come diciamo noi o licenziamo tutti, anche quelli che hanno accettato il contratto", un modo abbastanza infame di cercare di isolare chi ancora (poco e male) cerca davvero di difendere gli operai. Non è la prima volta che viene usato questo modo (appunto, infame), specialmente da quando l'unità confederata è sempre più debole e soprattutto l'unione dei lavoratori è sempre più lontana, nonostante siano passati 162 anni da quel febbraio del 1848 in cui Marx e Engels gridarono "Proletari di tutti i Paesi unitevi".
Il che è alquanto strano, visto che ormai tutti i lavoratori, che siano essi metalmeccanici, tessitori, operai edili o garzoni di bottega, commesse di atelier, baristi, cassiere o operatori di call center, dovrebbero aver capito che quello che passa per prima nelle grandi aziende ricade a cascata su tutti gli altri. E' successo con gli operatori dell'Alitalia e se passa succederà man mano a tutti gli altri.
Mettere per iscritto su un contratto nazionale che chi sciopera (è uno dei punti più contestati) può anche essere licenziato, oppure che il lavoratore debba rinunciare alla sua pausa (in nome del dio produttività) non è solo aberrante eticamente (ci stia Marchionne 8 ore consecutive senza staccare mai gli occhi su una macchina che fa sempre lo stesso movimento e poi mi dica se ha bisogno di una pausa), ma rappresenta anche un passo indietro di oltre cento anni sulle conquiste fatte dai lavoratori (con battaglie asprissime e numerosi vite sacrificate), che una volta perse potranno (?) essere riconquistate solo con le medesime, essendo ben consci che la repressione da parte della polizia ora è molto più potente di quella dei primi del '900. Conviene stare zitti? Io penso di no e forse è davvero ora di fare qualcosa.

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